
Distinguished Professor of Leadership & Organizational Behaviour e Direttore dell’High Performance Leadership Program all’IMD (Losanna, Singapore, Shenzhen). Già negoziatore di ostaggi e psicologo clinico, autore di bestseller pluripremiati: ‘Hostage at the Table’ (in Italia ‘La scienza della negoziazione’) e ‘Care to Dare’ (pubblicato in Italiano nel 2024).
Intervista a George Kohlriese a cura di Violena Paci
Cosa differenzia un leader da un manager, a parità di ruolo organizzativo?
E cosa differenzia un leader di successo da uno che fallisce?
La vera differenza tra un leader e un manager risiede nell’atteggiamento mentale e nella profondità DELLE RELAZIONI.
Un manager gestisce: assicura il funzionamento dei sistemi, rispetta le strutture, garantisce ordine. Un leader ispira: entra in una connessione profonda con le persone e si concentra sul loro potenziale, anche mettendo in discussione lo status quo. Un manager chiede “come” e “quando”, un leader chiede “cosa” e “perché”.
Il successo o il fallimento di un leader molto spesso si giocano sulla presenza o meno di quelle che io chiamo BASI SICURE.
I leader di successo sanno costruire legami di fiducia forti, che permettono loro di sfidare le persone senza generare paura. Vedono le loro potenzialità e le incoraggiano a crescere.
I leader che falliscono sono molto spesso carenti di questo tipo di legame. Possono anche avere molta determinazione ma se non hanno fiducia e connessione con le persone finiscono con l’auto-isolarsi e logorare chi lavora con loro.
La vera leadership, quella che fa la differenza, non consiste nel fare le cose nel modo giusto, ma nel fare le cose giuste con CUORE e con CORAGGIO.
Perché molti modelli di leadership continuano a basarsi su cose come la determinazione, il rigore e l’autoritarismo, nonostante sempre più teorie raccomandino il contrario?
Molti modelli di leadership sono ancora radicati nel CONTROLLO e nella PAURA.
Soprattutto in situazioni di crisi, o comunque negli ambienti di lavoro in cui la pressione è elevata, i leader tendono a rifugiarsi in ciò che sono più facilmente in grado di controllare: sistemi rigidi e comandi top-down.
Questo nasce da una profonda incomprensione dell’autorità.
La leadership richiede, invece, la capacità di instaurare con le persone un DIALOGO, di co-creare nuove soluzioni e di essere emotivamente disponibili.
Una LEADERSHIP AUTORITARIA può apparire efficace nel breve termine ma finisce, poi, per soffocare l’innovazione e compromettere l’engagement. L’ho visto succedere in moltissimi casi.
I leader evitano il dialogo non perché non riconoscono l’intelligenza altrui ma perché temono la propria VULNERABILITÀ.
Un dialogo autentico richiede la capacità di rinunciare al controllo, di ascoltare veramente e di essere anche pronti a cambiare in seguito a di ciò che si ascolta.
Questo richiede forza, non debolezza.
C’è molta teoria sul ruolo delle motivazioni intrinseche quali l’apprendimento, la sfida, il contributo, la crescita personale, la relazione con il proprio capo rispetto a cose come bonus, promozioni e le stesse strategie HR. Qual è il Suo pensiero?
Sicuramente, alla base di una performance sostenibile ci sono le motivazioni intrinseche: le persone non sono spinte solo da denaro e carriera ma sono anche ispirate da cose come un obiettivo comune, delle connessioni forti, una nuova sfida.
Se un leader si concentra sulle sole ricompense “esterne” (bonus, titoli, promozioni…), perderà di vista ciò che coinvolge davvero le persone: ovvero SENTIRSI APPREZZATI, RISPETTATI, VALORIZZATI.
Se consideri le persone come esseri umani e non come risorse ti risponderanno con lealtà, con creatività e con passione.
In tutto il mondo ho osservato quanto le persone siano più attive e ingaggiate quando percepiscono che il capo crede in loro. Non è la strategia HR a fare la differenza, ma la RELAZIONE. Un leader deve sapere connettersi emotivamente e attivare il desiderio delle persone di apprendere e di crescere. Solo così nasce l’ingaggio.
Qual è stato il contributo delle Sue esperienze come negoziatore di ostaggi e psicologo clinico rispetto alla Sua idea della leadership?
Il mio lavoro come negoziatore di ostaggi e come psicologo clinico ha plasmato tutte le mie convinzioni riguardo alla leadership.
In presenza di ostaggi, impari rapidamente che non si tratta di potere ma di connessione. Devi riuscire a entrare in sintonia con qualcuno, anche se ha un’arma in mano.
Quel legame, quella connessione umana è ciò che apre la porta all’INFLUENZA, ed è esattamente ciò che i leader devono fare. In una sala riunioni come per strada, l’influenza nasce dall’empatia, dall’ascolto e dalla COMPRENSIONE DI CIÒ CHE GUIDA I COMPORTAMENTI.
A contatto con persone in crisi profonda ho imparato che gran parte dei comportamenti distruttivi derivano da perdite e dolori irrisolti.
I leader devono sapere riconoscere ciò che guida i comportamenti, non solo negli altri ma anche in sé stessi.
Ecco perché la mia idea di leadership è incentrata sulle persone e gli obiettivi che si pongono. Se guidiamo le persone dando loro attenzione libereremo tutto il loro potenziale, anche in termini di performance e di risultati.
Cosa l’ha spinta a intraprendere la Sua esplorazione del networking?
La mia missione è rendere il network accessibile a tutti e dimostrare che una persona timida e introversa (come ero io) può trasformare questa competenza complessa in un potente abilitatore di opportunità.
Che ruolo gioca la SICUREZZA PSICOLOGICA nell’apprendimento e nella crescita professionale?
È fondamentale.
Quando una persona si sente minacciata il cervello disattiva la curiosità e la creatività e così non può esserci né apprendimento né crescita.
La presenza di sicurezza psicologica disattiva la risposta del cervello alla paura e apre la porta allo sviluppo.
Nella mia esperienza i team di maggiore successo sono non soltanto quelli più intelligenti ma anche quelli in cui le persone si sentono maggiormente libere di esprimersi, di riconoscere i propri errori e di esplorare senza paura nuove idee.
La sicurezza alimenta resilienza, innovazione e performance di lungo termine.
Creando AMBIENTI DI LAVORO BASATI SULLA FIDUCIA, i leader consentono agli individui di esprimere pienamente la propria vocazione e realizzare il proprio potenziale.
Spesso diciamo che nelle organizzazioni aziendali non c’è spazio per dare attenzione alle persone. Possiamo permettercelo?
No, non possiamo permettercelo.
Avere attenzione per le persone non è solo gentilezza ma anche strategia, per creare lealtà, fiducia e sicurezza psicologica, ciò che rende possibile il successo nel lungo termine.
Un’organizzazione in cui manca l’attenzione per le persone può essere performante nel breve termine ma al costo di generare BURNOUT, DISTACCO EMOTIVO e TURNOVER.
Ho avuto modo di osservare i danni che questo può causare: un CEO è arrivato a togliersi la vita per essere stato isolato e vessato dal consiglio di amministrazione e un tale dolore poteva essere evitato…
L’attenzione per le persone crea le condizioni perché le persone abbiano coraggio, migliora l’ambiente di lavoro e quando le persone si sentono davvero considerate sono anche maggiormente inclini a impegnarsi, a innovare, a dare il proprio massimo. Per un’organizzazione aziendale dare attenzione non è un optional ma un VANTAGGIO COMPETITIVO.
Cosa intende quando parli di BASE SICURA e quali meccanismi mentali sono coinvolti?
Una base sicura può essere una persona, un luogo, un obiettivo o anche un oggetto che dà un senso di sicurezza, protezione e attenzione e che allo stesso tempo ispira coraggio, presa di rischio, esplorazione del nuovo.
Il concetto nasce dalla teoria dell’attaccamento di John Bowlby, su come i bambini di fronte alla paura o all’incertezza si rivolgono e cercano rassicurazione da una propria base sicura. Questo stesso meccanismo opera anche quando si è adulti.
Una base sicura mette in moto quello che io definisco il “PARADOSSO SICUREZZA/RISCHIO”, ovvero aiuta a disattivare le risposte di paura del cervello lasciandoci liberi di focalizzarci sui nostri traguardi, sulla nostra crescita, sulle nostre potenzialità.
Una base sicura influenza l’“OCCHIO DELLA MENTE”, che è la nostra lente interna, attraverso la quale interpretiamo il mondo. Ci sostiene emotivamente nei momenti difficili e permette di individuare potenziali opportunità laddove altri vedrebbero solo minacce. Diventa un punto di riferimento che anche in situazioni di pressione favorisce RESILIENZA e FOCUS SUGLI OBIETTIVI.
Con basi sicure solide, una persona diventa significativamente più resiliente, creativa, AUDACE di fronte alle difficoltà.
Come possiamo identificare le nostre basi sicure, presenti e passate?
La scoperta delle proprie basi sicure inizia con la RIFLESSIONE.
Nel corso della tua vita, chi è stato per te fonte di attenzione e contemporaneamente anche di sfida? Chi ti ha spinto a superare i tuoi limiti, dandoti sicurezza?
Pensa a figure come un genitore, un allenatore, un mentore, un insegnante, a chiunque abbia creduto in te soprattutto nei momenti di paura o di fallimento.
Queste sono le tue basi sicure, per quanto riguarda le PERSONE.
Pensa poi agli OBIETTIVI che ti sei dato, come correre una maratona, diventare un leader migliore o scrivere un libro. Se un dato obiettivo ti ha dato forza e ispirazione è anch’esso una base sicura.
Cerca anche tra le tue ROUTINE, i LUOGHI, gli OGGETTI e i RICORDI. Anche cose quali scrivere un diario, meditare o un sentiero preferito per camminare possono essere una base sicura.
Le basi sicure non sono statiche ma possono cambiare nel corso della vita. Possiamo perderne e ritrovarne.
Ciò che conta è continuare ad alimentarle.
Senza di esse si diventa emotivamente vulnerabili e si rischia di cadere in un ATTEGGIAMENTO DA OSTAGGIO con la paura o il dolore che prendono il controllo della nostra narrazione.
Come le ESPERIENZE PASSATE e L’INFANZIA influenzano la nostra capacità di creare o riconoscere una base sicura?
Le esperienze fatte nella prima infanzia rappresentano un MODELLO DI BASE: l’attaccamento ai nostri genitori o a chi ci ha allevato genera i nostri schemi mentali e le nostre aspettative sull’amore, il supporto e la sicurezza.
Quando questo legame è stato positivo, tendiamo a crescere con la fiducia di poter contare sugli altri e a cercare nuove basi sicure.
Se è stato carente o traumatico, potremmo avere difficoltà a fidarci, diventare eccessivamente autosufficienti o tendere a evitare del tutto ogni possibile fonte di vulnerabilità.
Ma c’è una buona notizia: NON RESTIAMO PRIGIONIERI A VITA dei nostri modelli iniziali.
Come le neuroscienze dimostrano, il nostro cervello può ristrutturarsi attraverso esperienze consapevoli e – soprattutto – in presenza di nuove basi sicure potremo inaugurare nuovi legami e sviluppare convinzioni più sane sulla fiducia, la sicurezza e il successo.
Quanto sopra è molto importante nella leadership: un leader deve diventare una basa sicura per altre persone, ma per riuscire a farlo deve prima comprendere e rafforzare il proprio impianto emotivo.
Come una base sicura aiuta a superare l’insicurezza o la paura di fallire? Ci illustra la relazione con la RESILIENZA EMOTIVA?
Una base sicura è fonte sia di protezione che di ispirazione.
Come dicevo prima, quando ci sentiamo ancorati a qualcuno o a qualcosa in cui abbiamo profonda fiducia il nostro cervello si sposta dal rilevare pericolo al percepire possibili opportunità: non siamo più in modalità sopravvivenza ma in uno stato che ci permette di concentrarci su obiettivi, creatività, opportunità e questo consente di superare l’insicurezza e la paura di fallire. È ciò che ho definito il “PARADOSSO SICUREZZA/RISCHIO”: ovvero, ti senti abbastanza al sicuro da osare.
La resilienza emotiva si costruisce attraverso RIPETUTE ESPERIENZE in presenza di basi sicure.
La resilienza non è soltanto resistenza ma anche capacità di rialzarsi e ritrovare concentrazione e motivazione dopo un momento difficile.
Le nostre basi sicure – che si tratti di persone, obiettivi o di nostre certezze interiori – ci accompagnano, sino a ritrovare il nostro equilibrio, dandoci costantemente la sensazione che “non sei solo” e che “puoi farcela”.
In assenza di basi sicure, invece, le persone restano spesso ostaggi delle proprie paure e incapaci di superare un dolore o un fallimento.
Una delle trasformazioni più sorprendenti che ho visto nei leader avviene nel momento in cui identificano, riscoprono o anche creano nuove basi sicure e grazie a questo supporto iniziano a vivere il proprio fallimento non più come una sconfitta ma come un capitolo della loro crescita.
Questa è RESILIENZA EMOTIVA IN AZIONE ovvero sentirsi LIBERI DI PROVARE, perché sai di non essere solo.
Come identificare le proprie basi sicure in ambito PROFESSIONALE?
Chiediti: “chi nella tua carriera, ha creduto in te, ti ha sostenuto e ti ha messo alla prova? Chi ha visto il tuo potenziale prima di te?”
Si tratta di chi ti ha aiutato ad allargare i tuoi orizzonti, offrendoti al contempo una rete di sicurezza. Può trattarsi di un capo, un collega—o anche di un cliente—che ti ha mostrato attenzione, dandoti al tempo stesso coraggio.
Le basi sicure in ambito professionale emergono nei momenti di vulnerabilità quali transizioni, ostacoli imprevisti, promozioni e ti fanno sentire: “Posso affrontare questa sfida, perché so che qualcuno mi sostiene”.
Queste relazioni non soltanto sono un supporto ma sono anche CATALIZZATRICI poiché aiutano a passare dal mettersi in dubbio al puntare sulla propria efficacia.
Una base sicura in ambito professionale può essere anche un obiettivo condiviso o un progetto o una missione capace di generare motivazione ed energia.
Se non sei sicuro di quali siano le tue basi sicure sul piano professionale, ripensa alle voci che ti tornano in mente quando affronti una sfida, quelle che ti dicono: “Ce la puoi fare” o “Credo in te.”
Anche il ricordo di un mentore che non è più presente può restare un solido punto di ancoraggio nella vita professionale.
Che impatto ha l’avere (o non) basi sicure sulla motivazione e sul benessere? Siamo in presenza di effetti neurologici?
La presenza o l’assenza di basi sicure agisce a tutti i livelli del nostro essere.
Prima dicevo che in presenza di basi sicure l’attenzione si sposta dalla paura alla crescita. Così proviamo meno ansia e più motivazione e sperimentiamo anche una migliore forma fisica.
A livello neurologico si riduce l’attivazione dell’amigdala – che è la parte del cervello coinvolta nella gestione delle emozioni, in particolare paura e ansia – e questo permette alla CORTECCIA PREFRONTALE – che è la sede delle funzioni esecutive e della creatività – di prendere il comando.
In assenza di basi sicure siamo eccessivamente concentrati sull’evitare il pericolo e le nostre potenzialità si restringono, diventiamo avversi al rischio, chiusi o eccessivamente aggressivi.
Molti professionisti capaci e performanti, sotto stress crollano improvvisamente e la loro stessa motivazione vacilla a causa della mancanza di una base sicura a livello emotivo
Chi ha, invece, una base sicura dimostra maggiore INTELLIGENZA EMOTIVA, migliori CAPACITÀ DI COLLABORAZIONE e un più stabile BENESSERE PSICO-FISICO.
Quali SEGNALI PSICOLOGICI indicano che una persona ha (o non ha) una base sicura solida?
La presenza o assenza di una base sicura si osserva nei COMPORTAMENTI e nell’ENERGIA di una persona.
In un caso si mostra apertura, resilienza, coraggio, si è più propensi a prendersi dei rischi, a esprimere le proprie idee, a riprendersi dopo un fallimento, e quando si è sotto pressione si è meno inclini a esplodere o a chiudersi, mostrando di autoregolazione emotiva.
Lo stesso linguaggio del corpo manifesta contemporaneamente sicurezza e accoglienza.
Nell’altro si lotta spesso con la paura del rifiuto, assumendo atteggiamenti eccessivamente difensivi o denotando incapacità di chiedere aiuto. Si può mostrare perfezionismo o avere comportamenti di elusione o di eccessivo controllo. Ci si può sentire interiormente soli, pur essendo tra altre persone. Non ci si fida facilmente e le relazioni sono spesso transazionali o comunque superficiali.
Un tipico segnale psicologico è l’ansia: quando una persona mostra ansia per il cambiamento, per la performance o nelle relazioni ciò è spesso indice di assenza o debolezza di basi sicure.
Ecco perché parte del mio lavoro con i leader consiste nell’aiutarli a esplorare la propria storia emotiva e i propri legami attuali nonché, ove necessario, nel guidarli nella costruzione di nuove basi sicure.
Possono esserci DIFFERENZE culturali o individuali nel modo in cui le persone percepiscono o costruiscono una base sicura? Ci sono, ad esempio, tratti della personalità che rendono più difficile affidarsi?
E come si può creare una Secure Base efficace per chi fatica a fidarsi degli altri?
Assolutamente, si.
Sia il contesto culturale che i tratti della personalità influenzano profondamente il modo in cui le persone percepiscono e formano le proprie basi sicure.
Alcune CULTURE, ad esempio, premiano l’indipendenza e l’autocontrollo, e questo può rendere più difficile cercare o offrire apertamente supporto emotivo.
Altre, come nelle società collettiviste, enfatizzano invece l’interdipendenza e i legami comunitari facilitando naturalmente le dinamiche di creazione di basi sicure.
Dal punto di vista psicologico gli STILI DI ATTACCAMENTO individuali formatisi nei primi anni di vita giocano un ruolo cruciale.
Ad esempio, le persone con uno stile tendenzialmente elusivo o sminuente possono apparire forti e indipendenti ma in realtà potrebbero temere la vulnerabilità nelle relazioni o avere difficoltà a fidarsi degli altri.
Oppure, chi è ansioso può tendere ad aggrapparsi agli altri spinto dalla paura dell’abbandono e complicare, così, relazioni di base sicura altrimenti sane.
La chiave per aiutare chi ha DIFFICOLTA A FIDARSI è COSTANZA unita a PRESENZA.
La fiducia si può solo conquistare nel tempo con la calma, l’accettazione e l’esempio. Lo stesso semplice ascolto può avviare un percorso di risanamento emotivo.
E sentendosi considerate e non giudicate anche le persone più chiuse possono progressivamente aprirsi alla connessione emotiva e iniziare a riscrivere i propri modelli affettivi.
Da dove iniziare se si vuole essere un leader base sicura per gli altri?
Si deve partire dall’AUTOCONSAPEVOLEZZA.
Non puoi essere una base sicura per altre persone se non lo sei anzitutto per te stesso: questo significa comprendere il tuo stile di attaccamento, i tuoi meccanismi emotivi, la tua capacità di offrire sia attenzione che sfida.
Dopodiché è necessario sviluppare alcuni comportamenti TIPICI del leader base sicura: in primis, mantenere la calma, ascoltare in profondità, vedere il potenziale delle persone e spingerle a crescere. Essere una base sicura significa anzitutto creare sicurezza emotiva, mostrando di essere affidabili ed emotivamente disponibili invece che pronti a giudicare. Ma significa anche sfidare le persone a crescere, a uscire dalla zona di comfort.
È la formula “care to dare”. Non l’uno o l’altro ma entrambi allo stesso tempo e questo equilibrio richiede determinazione e pratica.
Inizia con l’“esserci”.
Sii presente. Guarda negli occhi. Ascolta non solo le parole, ma anche le emozioni.
Quando parli offri affermazione e fai domande che aiutino la persona a scoprire la propria forza.
A volte si tratta semplicemente di mantenere uno spazio sicuro dove l’altro possa scoprire sé stesso.
Volendo elencarle, quali sono le caratteristiche necessarie perché un leader sia una base sicura?
Sono nove caratteristiche:
- resta calmo/a, anche sotto pressione
- accetta le persone, incondizionatamente
- ne vede le potenzialità
- ascolta “in profondità” e fa domande
- comunica messaggi potenti
- focalizza su ciò che è positivo
- incoraggia il rischio calcolato
- ispira, con la motivazione intrinseca
- segnala disponibilità
Essere una base sicura per un leader significa essere quella persona su cui gli altri possono sempre contare, in situazioni di crisi come nella normalità, significa creare un ambiente di lavoro dove le persone si sentono EMOTIVAMENTE SICURE e, contemporaneamente, SFIDARLE a superare ciò che ritengono possibile affrontare.
È un equilibrio che io ho battezzato come il “PUNTO DOLCE” della leadership.
Non si tratta di non avere fermezza ma di saperla manifestare opportunamente: nella fiducia, nella visione, nella fiducia negli altri.
Si tratta di EMOTIVAMENTE INTELLIGENTI, di gestire la propria paura, regolare le proprie emozioni, dare esempio di coraggio, rendere la performance un traguardo di crescita personale e il lavoro un viaggio pieno di significato.
Dando alle persone RADICI e ALI: l’identità e il coraggio di volare.
Sostenere e dare attenzione, quindi, non basta: un leader deve anche osare. Potrebbe approfondire questo punto?
Cosa intende esattamente per “Playing to Win Mindset”?
Come creare un equilibrio virtuoso ed efficace tra supporto emotivo e spinta a superare i propri limiti senza causare ansia o dipendenza?
L’equilibrio tra attenzione e sfida è ciò che abbiamo definito come il “PARADOSSO SICUREZZA/RISCHIO” e – come dicevamo – devi sapere offrire sicurezza emotiva disattivando le risposte di paura del cervello e, al contempo, incoraggiare la sfida, l’esplorazione di cose nuove e la crescita professionale.
Limitarsi a dare attenzione crea dipendenza e comfort zone. Osare senza dare attenzione crea ansia, difensa e burnout.
La magia è nell’integrazione, ovvero quando le persone si sentono ABBASTANZA SICURE DA RISCHIARE.
Ho definito “PLAYING TO WIN” un atteggiamento che si basa anzitutto sul coraggio e sulla CONNESSIONE e invita ad affrontare le sfide SENZA PAURA e con FOCUS: “insieme possiamo realizzare cose straordinarie”.
Un leader con questo tipo di atteggiamento alimenta una relazione profonda con il proprio team, fissa obiettivi ambiziosi, mantiene le performance elevate, focalizza l’“occhio della mente” – suo e degli altri – sulle opportunità invece che sui problemi.
Questo approccio premia in termini sia di relazioni che di risultati nel lungo termine.
Ai leader ripeto sempre: “il tuo compito non è salvare le persone dalla difficoltà ma creare la fiducia che le aiuti a trovarvi forza”.
È così che avviene la crescita. Non è facile, soprattutto sotto pressione ma è il segnale inequivocabile di una leadership che è una base sicura efficace.
Può condividere un ESEMPIO di leader che esemplifica il concetto di base sicura?
Sì, una partecipante del programma di High Performance Leadership all’IMD, Alexandra, dirigente di alto livello di una azienda tech globale. La sua base sicura era un certo Ben, il suo mentore, una figura quasi paterna che credeva in lei quando lei stessa dubitava di sé. Lui morì e lei ne fu devastata. Ma invece di crollare attinse alla forza del legame profondo e agli insegnamenti che aveva ricevuto da Ben. E in quell’eredità Alexandra trovò una nuova forza.
Un esempio di personaggio pubblico è Ted Kennedy Sr., che aiutò il figlio Ted Jr., che aveva perso una gamba, ad andare in slittino.
Avrebbe potuto dirgli di aspettare, invece disse: “Anche se ci vorrà tutto il giorno, lo faremo”. Quel momento combinava attenzione, coraggio, presenza e fiducia e cambiò per sempre la percezione che suo figlio aveva di sé.
Questi esempi dimostrano che i leader che sono una base sicura non si riconoscono dai gesti eclatanti ma per la fiducia costante che manifestano verso le persone e il coraggio di richiamarle al loro potenziale anche in momenti in cui è difficile farlo.
Come questo tipo di leadership favorisce performance elevate e sostenibili?
Performance elevate e sostenibili derivano dalle nove caratteristiche che abbiamo visto in precedenza.
I leader che le incarnano, creano legami emotivi che alimentano la resilienza e la fiducia, mantengono il focus sulla performance e la responsabilità, sfidano le persone, facendo sentire loro che non sono sole, trasmettono il messaggio: “Vedo chi sei, e so che puoi essere di più”.
Questo modello di leadership genera ciò che io chiamo “HEALYHY-HIGH-PERFORMANCE”: una performance elevata e sostenibile non solo in termini di risultato economico ma anche per le persone coinvolte.
Qual è, quindi, il ruolo della FIDUCIA? Come un leader può guadagnarsela e come ristabilirla se viene compromessa?
La fiducia è il presupposto di una base sicura.
Senza fiducia non può esserci sicurezza emotiva, ma soltanto pura osservanza di regole, paura o distacco. Soprattutto nei momenti di crisi è la fiducia a tenere unite le persone.
Un leader costruisce fiducia attraverso comportamenti coerenti, disponibilità emotiva, accoglienza, attenzione e comunicando sia esplicitamente che implicitamente che agisce nel miglior interesse di tutti, anche quando prende decisioni difficili.
Il leader che voglia RICOSTRUIRE la fiducia deve anzitutto riconoscere quando è stata infranta, senza mettersi sulle difensive ma con trasparenza, comportamenti coerenti e disponibilità a ristabilire un legame autentico. Serve che dimostri ascolto, chieda scusa quando serve e mostri vulnerabilità.
Il CICLO DEL LEGAME – attaccamento, connessione, separazione, dolore e rinnovamento – deve essere rivisitato consapevolmente.
Durante una crisi, inoltre, la tua presenza come base sicura di cui si ha fiducia deve essere sentita ancora più intensamente. Mostra empatia, offri chiarezza e autocontrollo.
E ricorda: la fiducia non si costruisce con grandi gesti ma attraverso piccoli ma ripetuti momenti di sintonia emotiva e affidabilità.
Come migliorare le proprie capacità di ASCOLTO e SUPPORTO EMOTIVO senza diventare eccessivamente protettivi o paternalistici?
L’ascolto, se autentico, è un atto di leadership radicale e significa dire: “Ti vedo, e ti apprezzo“.
La capacità di ascolto si migliora con il SILENZIO, senza cercare immediatamente di risolvere, consigliare o reindirizzare e ponendo DOMANDE POTENTI, in grado di svelare emozioni e motivazioni profonde.
Il supporto emotivo non ha niente a che vedere con la risoluzione dei problemi altrui ma riguarda l’ESSERE PRESENTI mentre gli altri trovano la propria strada.
Per evitare di essere paternalista, concentrati sull’EMPOWERMENT.
Non devi salvare ma incoraggiare l’autonomia, mostrando attenzione. Lascia che le persone affrontino le proprie sfide ma rimani abbastanza vicino perché si sentano supportati.
Così facendo non stai diminuendo la loro forza, le stai aiutando a scoprirla.
Uno degli strumenti più potenti è l’ARTE DI FARE DOMANDE: “Come stai vivendo questa situazione?” o “Cosa pensi sia possibile fare?”
Queste domande aprono uno spazio per la crescita, non per la dipendenza.
In situazioni di PRESSIONE, come spingere le persone a uscire dalla propria zona di comfort e ad ottenere risultati sfidanti senza generare ansia o resistenza?
La chiave è stabilire la sicurezza PRIMA di introdurre la sfida.
Così come in un’arrampicata non spingi mai un arrampicatore a salire più in alto finché la sua corda di sicurezza non è salda.
Nella leadership la “corda” è il LEGAME EMOTIVO. Quando le persone si sentono ancorate alla fiducia e alla sicurezza psicologica, sono più disposte a rischiare, perché sanno che non verranno giudicate o penalizzate per i fallimenti.
Devi anche esercitare autocontrollo e contenere la tua risposta emotiva allo stress.
Se rimani calmo e ottimista anche nel caos il tuo team rifletterà questo comportamento.
Evita di sopraffare le persone con richieste irrealistiche. Piuttosto, sfidale progressivamente, in modo da rinforzare sempre più la tua fiducia nelle loro potenzialità.
Questa combinazione di FIDUCIA E ASPETTATIVE crea motivazione, senza ansia.
E ricorda, dare supporto non è gentilezza. È una base per poter fare decollare il coraggio.
I leader devono sfidare le persone a fare di più, anzitutto mostrando loro che SONO GIÀ ABBASTANZA.
Qual è l’importanza di affrontare il FALLIMENTO e quali strategie suggerisce per aiutare le persone a superarne la paura e a farne un’occasione di crescita?
Il fallimento è un grande maestro. Senza avere affrontato il fallimento non potrà esserci vera resilienza.
Non devi proteggere le persone dal fallimento, ma aiutarle a interpretarlo correttamente. Quando qualcuno fallisce in qualcosa, aiutalo a separare la sua identità dal risultato: “Tu non sei il tuo errore”. Poi aiutalo a ricavarne un insegnamento: “Cosa faresti diversamente la prossima volta?”
Dobbiamo anche imparare a considerare il fallimento come normale, poiché è parte dell’innovazione. Nelle organizzazioni in cui il fallimento è stigmatizzato le persone saranno sempre più avverse al rischio e sempre meno ingaggiate. Se invece è vissuto come un feedback, il fallimento può generare nuova energia.
Per favorire questo atteggiamento, condividi i tuoi stessi fallimenti da leader in modo da dimostrare che gli ostacoli fanno parte della crescita e non sono segni di debolezza.
Uno potente strumento da adottare è la riflessione.
Dopo un’iniziativa fallita, chiedi: “Cosa vi ha sorpreso? Cosa avete imparato? Qual è il prossimo grande passo?”
Questo non soltanto riformula il fallimento ma lo trasformerà in nuovo slancio.
Quali sono le sfide in un ambiente di LAVORO in REMOTO?
Il lavoro in remoto rappresenta una sfida straordinaria perché sono difficilmente disponibili quei segni fisici, come il contatto visivo, il linguaggio del corpo, le conversazioni spontanee, che generano il legame emotivo.
Negli spazi virtuali è richiesta maggiore INTENZIONALITÀ.
Come leader, devi coltivare consapevolmente la connessione emotiva con le persone, mantenere la loro sicurezza psicologica e assicurare la tua disponibilità, anche a distanza.
Nei team distribuiti i leader devono COMUNICARE maggiore chiarezza e maggiore attenzione.
Pianifica regolari incontri individuali non soltanto per monitorare le attività ma anche per chiedere: “Come stai, davvero?”.
Lo spazio virtuale può diventare un luogo di forti connessioni se segnali costantemente disponibilità, dimostri empatia e offri opportunità di condivisione dei risultati da raggiungere.
Gli strumenti digitali non sostituiscono le relazioni, ma possono supportarle se utilizzati con consapevolezza e volontà.
Il maggiore pericolo nel lavoro in remoto è l’INVISIBILITÀ, non soltanto in senso fisico ma anche in senso emotivo.
Assicurati che nessuno si senta solo anche quando è geograficamente lontano.
Non è la distanza a rompere il legame, ma l’assenza di un coinvolgimento significativo.
Nel libro Lei parla di networking come competenza di vita, da abilitare per il successo e il benessere, da giovani a quando si è meno giovani.
In che modo una RETE DI RELAZIONI “SANA” influisce sul benessere personale e con quale predisposizione mentale possiamo crearla?
Anche se raramente ci soffermiamo a pensarci, le modalità con cui ciascuno costruisce, modella, mantiene e valorizza le proprie connessioni personali è un elemento centrale della nostra esistenza e oltre al successo personale e lavorativo, può determinare anche il nostro benessere.
Le relazioni umane sono come fili di un tessuto: tessere legami saldi e duraturi consente di creare una trama fitta e resistente, in grado di sorreggere qualsiasi peso, resistere alle avversità della vita e anche creare un impatto significativo.
La predisposizione mentale adatta a creare un network “sano” è quella di “FARE LA DIFFERENZA” nella vita propria e degli altri”.
Qual è il ruolo dei LEGAMI e come gestirli nella leadership?
I legami sono come una COLLA EMOTIVA. Sono connessioni che generano più energia di quanto una sola persona potrebbe creare.
Diversamente dall’amicizia, nella leadership il legame non riguarda solo la fiducia reciproca ma anche la CRESCITA CONDIVISA, non è solo emotivo ma è anche finalizzato: il leader crea legami affinché l’altro possa sentirsi abbastanza sicuro da osare.
Gestire i legami significa rispettarne il CICLO VITALE.
Un leader non deve legarsi eccessivamente alle persone, ma sostenerne la crescita e lasciarle poi libere, quando sarà opportuno.
Se un leader crea legami troppo stretti crea dipendenza. Se resta troppo distante rischia di non essere seguito.
I LEGAMI SANI EVOLVONO. Si approfondiscono, si estendono e, infine, si sciolgono, lasciando un’eredità di forza e autostima.
Legarsi non significa, naturalmente, evitare il conflitto.
Spesso i legami profondi abilitano il CONFLITTO PRODUTTIVO: la fiducia permette alle persone di esprimere disaccordo in modo costruttivo. Qui il legame diventa non solo emotivo, ma strategico.
Parlando di CONFLITTO, ci illustra la metafora “METTERE IL PESCE SUL TAVOLO”?
Ah, sì, è una delle mie metafore preferite, dei miei tempi in Sicilia, e significa riconoscere apertamente il conflitto e portarlo alla luce, invece di nasconderlo.
Nei mercati del pesce i pescatori puliscono il loro pescato direttamente sul tavolo. È un processo caotico, puzza, ma è NECESSARIO.
Lo stesso vale per il conflitto. Se lo lasciamo nascosto marcisce e avvelena l’ambiente.
“PULIRE IL PESCE” significa affrontare il conflitto con onestà e con cura.
Non si tratta di attaccare l’altra persona ma di AFFRONTARE IL PROBLEMA. Questo richiede rispetto, curiosità e la volontà di ascoltare anche le verità scomode.
A volte il pesce è piccolo: un malinteso. Altre volte è una balena: un tradimento o un importante problema di sistema.
In ogni caso, non puoi cucinare ciò che non hai prima pulito.
Il bello di questa metafora è che ci ricorda che il conflitto è qualcosa non da temere ma da ELABORARE.
E se lo fai alla fine può portare a un “pasto” ricco, una relazione più forte, un cammino più chiaro e un rinnovato senso di fiducia.
Spesso trascuriamo il DIALOGO o lo blocchiamo in vari modi. Come evitare che questo avvenga? Qual è il potere del dialogo e come migliorarlo?
Blocchiamo il dialogo ogni volta che cadiamo nel monologo, quando invece di ascoltare attentamente pensiamo a cosa dire dopo, quando respingiamo, giudichiamo o interrompiamo, chiudendo la porta ad una vera conversazione.
DIFESE EMOTIVE, CONVINZIONI PERSONALI e MANCANZA DI CURIOSITÀ sono i tipici ostacoli che bloccano il dialogo e derivano a loro volta dalla paura di sbagliare, di perdere il controllo, di rivelare la propria vulnerabilità.
Per individuare questi ostacoli, cercane i segnali: le persone intorno a te “si chiudono”?
Le conversazioni sembrano dibattiti? Alla fine ti senti non ascoltato o frainteso?
Sono i SEGNALI che il dialogo è stato unilaterale o comunque non percepito come sicuro.
Per SBLOCCARE il dialogo dobbiamo rimettere al centro il LEGAME e la FIDUCIA.
Quindi: fai più domande, ascolta con l’intento di comprendere, non di rispondere.
E sii a tuo agio con il silenzio che spesso precede l’intuizione.
Il dialogo, quando è autentico, può generare grandi trasformazioni.
È un ponte tra le menti e tra i cuori e la linfa vitale per creare relazioni e avviare il cambiamento. Solo attraverso il vero dialogo – non il dibattito o il monologo – comprendiamo, cresciamo e ci connettiamo.
Il potere del dialogo risiede nelle sue capacità di costruire fiducia, di fare emergere emozioni nascoste, di generare significati condivisi.
Per la leadership il dialogo è essenziale, perché crea uno spazio per la vulnerabilità non accompagnata dalla paura. È il modo in cui si può mostrare attenzione e sfidare senza minacciare.
Per MIGLIORARE il dialogo dobbiamo anzitutto identificarne gli ostacoli più comuni – giudizi, atteggiamenti di difesa e reattività emotiva – rimuoverli e sostituirli con le ABITUDINI PER UN GRANDE DIALOGO: ascoltare profondamente, fare domande potenti e aperte, fare pause per lasciare che il silenzio parli.
Il dialogo non deve mirare a convincere ma servire a CONNETTERSI.
Sentirsi ascoltate fa sentire le persone valorizzate e questo getta le basi di una FORTE FIDUCIA e per raggiungere PERFORMANCE ELEVATE.
Sostenendo un dialogo autentico, non dominando con le risposte, ma co-creando soluzioni, un leader dà esempio di curiosità e di empatia. E ciò genera lealtà, innovazione e ingaggio emotivo.
Lei sostiene che essere un leader base sicura non è soltanto un insieme di competenze ma, anzitutto, un MODO DI ESSERE. Come riuscire a farlo proprio?
Hai ragione – questo tipo di leadership non riguarda solo ciò che fai ma anche chi sei.
Ha inizio con come tu consideri te stesso e gli altri.
Vedi il potenziale? Credi nel potere della relazione? Ti basi sul fatto che le persone vogliono crescere e che il tuo ruolo è di aiutarle a liberare le loro potenzialità?
Esercitare una Leadership “Secure Base” significa fare di questo sistema di pensiero la propria MENTALITÀ CONSOLIDATA.
Devi dedicarti anzitutto al tuo sviluppo personale, comprendendo il tuo stile di attaccamento e regolando la tua emotività, e offrire costantemente sia attenzione che sfida.
Occorrono AUTOCONSAPEVOLEZZA, UMILTÀ e DISPONIBILITÀ A CAMBIARE, anche quando è difficile.
Puoi sviluppare questo modo di essere attraverso una pratica deliberata e costante., la riflessione e il coraggio di affrontare i tuoi stessi ostaggi interni – che sono le convinzioni limitanti che ti bloccano.
Le persone non solo ti seguiranno ma cresceranno grazie a te, perché sarai un leader in grado di guidarle a riscoprire il proprio valore.
Quali sono le difficoltà tipiche?
Una delle difficoltà maggiori è DISIMPARARE I MITI DEL POTERE.
Molti leader credono di dover dare sempre risposte, mostrare sempre forza e mai vulnerabilità. Questa mentalità impedisce la creazione di legami.
Un’altra è quella di AFFRONTARE I DOLORI IRRISOLTI – siano essi lutti, traumi o fallimenti passati – che altrimenti possono rendere ostaggio di uno stato di prigionia mentale.
Non puoi essere una base sicura per gli altri se sei bloccato dalle tue stesse dinamiche interiori.
C’è poi la difficoltà di BILANCIARE L’ATTENZIONE E LA SFIDA. Alcuni leader mancano di fermezza, ed evitano conversazioni difficili, altri sono troppo severi, e trascurano l’importanza della sicurezza emotiva.
Individuare il “PUNTO DOLCE” della leadership, dove sono presenti sia il legame che il coraggio, richiede INTELLIGENZA EMOTIVA, CAPACITÀ DI LEGGERE IL CONTESTO e APPRENDIMENTO CONTINUO.
Serve comunque PAZIENZA.
Il cambiamento non avviene dall’oggi al domani. Ci vuole tempo per costruire fiducia, agire sulla cultura e aiutare le persone a esprimere il proprio potenziale. I leader che riescono sono quelli che perseverano nel dimostrare attenzione, chiarezza e coraggio.
Ha incontrato casi di leader che MANCAVANO DI UNA PROPRIA BASE SICURA?
Sì, anche troppo spesso.
Molti manager raggiungono posizioni di potere pur non avendo basi emotive sicure e profonde. Hanno un forte legame con obiettivi quali lo status, i risultati, il successo—ma poca o nessuna connessione emotiva con le persone.
Senza una solida base relazionale lo stile di leadership tende spesso al distacco, alla superiorità, sino all’indifferenza emotiva.
Questi leader giocano per vincere, sì, ma spesso a scapito della salute psicologica e della loro stessa realizzazione personale.
Mi viene in mente un brillante manager, esperto di analisi e processi per le decisioni,
che aveva sofferto un’infanzia priva di legami affettivi.
Le sue relazioni erano puramente transazionali, il suo team lo rispettava ma a livello emotivo in pochi si fidavano realmente di lui. Solo quando, attraverso il coaching e la riflessione, comprese come l’assenza di basi sicure nella sua crescita avesse impattato sul suo stile di leadership ebbe la possibilità di cominciare a ricostruirsi sul piano sia personale che professionale.
Il leader come “self-made men” è solo un mito.
Tutti i grandi leader che ho osservato hanno avuto il sostegno di basi sicure – persone o obiettivi – che li hanno supportati e ispirati.
Raramente un leader privo di solide basi psicologiche ha successo.
Quali SEGNALI deve osservare un leader per capire se la base sicura che ha creato si sta indebolendo?
Si tratta di segnali sottili, ma chiari.
Quando una base sicura è solida le persone manifestano energia, creatività, apertura, propensione al rischio, si impegnano fino in fondo e comunicano in modo sincero.
Si fidano di te, sia per essere sostenuti che per essere sfidati.
Quando una base sicura comincia a indebolirsi i SINTOMI SI MANIFESTANO RAPIDAMENTE: le persone si chiudono emotivamente, crescono gli atteggiamenti difensivi, l’innovazione si arresta e l’intraprendenza cede il posto al conformismo.
Osserva i comportamenti guidati dalla paura: colpevolizzazioni, silenzi, eccessi di cautela. Sono segnali d’allarme che indicano che il team non si sente emotivamente al sicuro. Potrebbe significare che le persone non si fidano delle tue intenzioni, oppure che ti sei concentrato troppo sulle performance e hai trascurato di coltivare le relazioni.
RICOSTRUIRE una base sicura parte dall’UMILTÀ e dalla capacità di FARE DOMANDE.
Chiedi al tuo team: “Quanto ti senti al sicuro nell’esprimerti? Ti senti stimolato e supportato qui?”
E poi ascolta, davvero.
Una base sicura non è statica ma deve essere rinnovata di continuo attraverso presenza, empatia, fiducia negli altri.
Come riassumerebbe i consigli che darebbe a un leader che vuole essere una base sicura per il suo team?
I miei consigli?
“Abbi profonda attenzione per ogni singola persona. Osa con coraggio. Mostrati in modo autentico e completo”. Questa è – per me – l’essenza della leadership.
Poi: “Sii la persona che vede il valore negli altri, soprattutto quando gli altri non lo vedono in sé stessi. Rimani calmo anche sotto pressione. Sii quella presenza che ancora e che ispira.
Soprattutto, non dimenticare mai che la leadership non è una questione di controllo ma di connessione.
Sii consapevole del tuo ‘SCENARIO INTERIORE’, perché non puoi dare ciò che non hai.
Rinforza le tue basi sicure, rifletti sul tuo stile di attaccamento e lavora sulla tua crescita personale.
La tua leadership diventerà non solo più efficace ma anche più umana.”
Molto del Suo pensiero si concentra su principi psicologici che sono anche valori fondamentali nella vita organizzativa: potere delle relazioni, fiducia, sicurezza emotiva.
Come questi influenzano gli ambiti dell’APPRENDIMENTO, dello SVILUPPO DELLE COMPETENZE e del TALENT MANAGEMENT?
Relazioni e fiducia sono anche una STRUTTURA DI SUPPORTO necessaria per l’apprendimento e lo sviluppo delle competenze.
Come abbiamo visto, quando le persone si sentono “al sicuro” il loro cervello passa da una modalità di sopravvivenza a una modalità “esplorativa” e questo crea le condizioni ottimali per l’apprendimento. Una base sicura – che sia un leader, un collega o un obiettivo condiviso – funziona come un supporto emotivo che INCORAGGIA le persone a mettersi in gioco e a sperimentare cose nuove, senza timore di essere giudicate.
Nel TALENT MANAGEMENT i leader possono sbloccare un grandissimo potenziale.
Non limitandosi a individuare competenze, ma coltivandole. Fornendo costantemente sfida e attenzione e un feedback costruttivo, fortemente teso allo sviluppo.
I leader possono modellare attivamente “l’Occhio della Mente” delle persone orientandolo dalla paura alle potenziali opportunità, dal dubbio al coraggio, favorendo così lo sviluppo di competenze e anche la crescita del carattere.
Come dicevo, la leadership non è legata al controllo ma è una questione di connessione.
Per gestire un talento è altresì necessario comprendere il CONTESTO EMOTIVO e PSICOLOGICO in cui quel talento deve crescere.
I leader devono rendere visibili e concretamente attivabili i fattori invisibili che generano la performance: CONVINZIONI, LEGAMI e MOTIVAZIONE.
Un’osservazione attenta delle capacità individuali crea, quindi, opportunità di sviluppo. E un feedback in ottica costruttiva è essenziale perché una persona voglia “superarsi”.
Come possiamo usare il FEEDBACK e la VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE per promuovere un MINDSET DI CRESCITA senza generare insicurezza?
Tutto dipende dalle intenzioni.
Se diamo un FEEDBACK in ottica costruttiva e con un approccio di attenzione e di fiducia nel potenziale, questo non verrà percepito come una critica ma come una guida.
Qui il punto chiave è che il feedback non deve partire da ciò che non è andato bene, ma concentrarsi su CIÒ CHE È STATO APPRESO e su CIÒ CHE PUÒ ESSERE MIGLIORATO.
Questo approccio rafforza un MINDSET DI CRESCITA così come lo descriveva Carol Dweck: “LA CONVINZIONE CHE LE ABILITÀ POSSANO ESSERE SVILUPPATE attraverso l’impegno e l’apprendimento”.
Se accompagnata da una conversazione autentica, la valutazione delle competenze diventa uno potente strumento di AUTO SCOPERTA.
Fai domande come: “Dove ti sembra che stai crescendo di più in questo momento?” e “Quale sfida ti farebbe evolvere ulteriormente”?
E collocarla in un CONTESTO DI SICUREZZA e CRESCITA PERSONALE aiuta le persone a vedere le proprie capacità in evoluzione.
Occorre creare una CULTURA IN CUI IL FEEDBACK è un dono: qualcosa che afferma il valore della persona mentre ne sfida il potenziale.
Questo non è semplice, in culture orientate alla performance, ma è l’unico modo per SOSTENERE LA CRESCITA SENZA MINARE LA FIDUCIA.
Come la creazione di un legame sicuro può supportare le persone in un contesto di UPSKILLING?
L’upskilling può scatenare PAURA: di non essere all’altezza, di restare indietro o di rivelare incompetenza. Un legame sicuro la neutralizza.
Se le persone sanno che il loro leader si occupa, sostiene e crede in loro saranno più propense a superare ogni disagio e ad aprirsi al cambiamento.
Di nuovo: è il cervello che spostandosi dalla percezione di una “minaccia” a quella di una “opportunità” rende l’apprendimento stimolante e non più intimidatorio.
Concretamente questo significa che durante i momenti di apprendimento è fondamentale che i leader mostrino VICINANZA.
Offri incoraggiamento, riconosci l’impegno, condividi il tuo stesso percorso di crescita e, cosa più importante, non intervenire mai per “salvare” qualcuno ma solo per responsabilizzarlo.
Lascia che le persone affrontino da sé ogni tensione ma resta loro accanto e segnala fiducia nella loro capacità di riuscire.
Qui il LEGAME diventa il ponte che collega il SÉ ATTUALE al SÉ POSSIBILE.
Ecco perché le più efficaci STRATEGIE DI UPSKILLING non sono soltanto tecniche ma anche RELAZIONALI.
Autoconsapevolezza e resilienza sono fondamentali per superare la vulnerabilità legata a un processo di RESKILLING. Quali consigli daresti?
La paura è naturale e la sfida non è eliminarla, ma trasformarla.
Qui il mio consiglio parte dal darle un nome.
Scrivila. Dilla ad alta voce. “Metti il pesce sul tavolo”, come dico io.
Poi chiediti: qual è il costo di non cambiare? Cosa potrebbe diventare possibile se affrontassi questa paura? E chi può accompagnarmi in questo viaggio, chi sono le mie basi sicure?
Poi, agisci.
L’azione è un antidoto della paura. I PICCOLI PASSI generano fiducia.
Anche la VISUALIZZAZIONE aiuta: immagina di riuscire, anche prima di riuscirci davvero.
E rifletti sui momenti in cui in passato sei già cresciuto grazie al cambiamento.
Anche quei RICORDI possono diventare basi sicure.
Il nostro cervello è costruito per resistere al rischio ma con sufficienti basi sicure possiamo superare questo istinto e abbracciare le opportunità.
E ricorda: il coraggio non è assenza di paura.
È andare avanti nonostante la paura, con chiarezza, convinzione e con supporto.
Come consigli di coltivare una mentalità di CONTINUOUS LEARNING?
Anzitutto, rendi l’organizzazione una base sicura.
Questo richiede di creare una CULTURA in cui le persone si sentono sia al SICURO che ISPIRATE A CRESCERE.
La sicurezza nasce da fiducia, comfort psicologico e relazioni significative.
La spinta alla crescita richiede sfida a migliorarsi, assunzione di rischio ed esplorazione di nuove idee.
Tutto ciò non si crea con le politiche ma deriva dalle persone e in particolare dai LEADER che danno ESEMPIO di APPRENDIMENTO, CURIOSITÀ e VULNERABILITÀ.
Peter Senge ha identificato le cinque competenze chiave della LEARNING ORGANIZATION: pensiero sistemico, padronanza personale, modelli mentali, visione condivisa e apprendimento di gruppo.
Ritengo che ciascuna di esse richiede il sostegno della SICUREZZA EMOTIVA e del CORAGGIO DI OSARE.
Parti dal piccolo.
Un leader dovrebbe sempre condividere ciò che sta imparando, chiedere al team quali intuizioni sta maturando, rendere la riflessione parte della routine.
Non si crea una cultura dell’apprendimento con le norme, ma con l’ESEMPIO.
Quando le persone ti vedono accettare gli errori, porre domande e crescere con trasparenza, faranno lo stesso.
Anche un MISMATCH DI COMPETENZE tra un individuo e il suo ruolo può generare frustrazione e ansia. Come aiutare a non perdere la motivazione e impegnarsi a migliorare?
Il disagio generato dal disallineamento di competenze tra un individuo e il suo ruolo è delle forme più silenziose e pericolose di PERDITA D’INGAGGIO. Spesso le persone non dicono, quando il loro lavoro non è in linea con i loro punti di forza, ma iniziano a disconnettersi emotivamente.
Come leader è tua responsabilità accorgertene per tempo e intervenire, senza critiche e con curiosità: “Quali aspetti del tuo ruolo divorano il tuo tempo e le tue energie e quali, invece ti entusiasmano?”
Poi, scegli insieme a loro nuovi incarichi sfidanti e allineati con le loro potenzialità.
E offri feedback, attraverso la lente della fiducia.
‘Vedo in te questa capacità. Troviamo un modo per usarla di più?’
La MOTIVAZIONE nasce quando le persone sentono non solo di sopravvivere, ma di svilupparsi in direzione di un futuro che le entusiasma.
E ricorda che un Leader deve sempre ricercare il potenziale, anche quando appare sepolto sotto la mancanza di ingaggio.
Quando si sentono considerate e valorizzate le persone iniziano a vedere nuove possibilità, anche dentro sé stesse.
Da qui prende il via la loro trasformazione.
Come aiutare le persone a non temere e utilizzare efficacemente le tecnologie IA?
L’ascesa dell’IA è un’opportunità ma anche una fonte di paura: le persone temono di non riuscire a stare al passo e di essere sostituite.
Affrontare questa sfida richiede di PUNTARE ANCORA DI PIÙ SULLA CONNESSIONE UMANA. Un leader deve aiutare a comprendere non solo ciò che l’IA è in grado di fare ma anche ciò che solo gli esseri umani possono offrire. EMPATIA, CREATIVITÀ, RELAZIONI, INTUIZIONE: ovvero gli AMBITI IN CUI OGGI È URGENTE CRESCERE.
Possiamo generare sicurezza attraverso la CHIAREZZA.
Illustra perché si adotta l’IA e in che modo può – non sostituire ma – supportare le persone.
Offri FORMAZIONE non solo sullo strumento ma anche sulla MENTALITÀ.
‘Quale nuovo valore posso portare ora che questo compito è automatizzato?’
Inquadra i cambiamenti in atto come un’OPPORTUNITÀ DI REINVENTARSI e accompagna le persone nella loro transizione emotiva, dando loro attenzione.
La tua presenza e rassicurazione significheranno più di qualsiasi tutorial tecnico.
Quando le persone si sentono ancorate a una base sicura sono pronte ad affrontare ciò che non conoscono.
Sei mai stato guidato da qualcuno che ti ha dedicato attenzione, ti ha liberato dalle paure che ti bloccavano, ti ha fatto sentire al sicuro e ti ha spinto a osare e a raggiungere obiettivi che consideravi impossibili?
Assolutamente sì.
Dan, il mio mentore all’inizio della mia carriera di negoziatore di ostaggi.
Avevo delle FORBICI PUNTATE ALLA GOLA ed era stato lui a chiedermi di intervenire.
Ero terrorizzato e quando tutto finì, esplosi: “Come hai potuto mandarmi lì dentro!”
Dan rispose semplicemente: “George, eri la persona giusta.”
Quel momento ha trasformato la mia vita.
Lui credeva in me anche quando io non credevo in me stesso.
Non mi ha dato solo responsabilità, ma FIDUCIA. Mi trattava da pari, rimaneva calmo, vedeva in me il potenziale che io non vedevo. Era la mia base sicura.
La sua presenza, la sua calma e la sua fiducia si sono trasformate in una voce interiore che sento ancora oggi nei momenti di difficoltà: “Ce la puoi fare”.
Il suo stile di leadership incarnava tutto ciò che ho formalizzato nel concetto di Secure Base Leadership e questa esperienza è il motivo per il quale sono così tanto appassionato nell’aiutare altri a diventare delle basi sicure. Perché ho vissuto in prima persona la trasformazione che questo può generare.
La leadership consiste nel plasmare vite, non solo nell’ottenere risultati.
E cosa La ha ispirata a scrivere Care to Dare?
Ha ricevuto feedback sorprendenti dai lettori?
Se riscrivesse il libro oggi cambierebbe qualcosa?
Care to Dare è nato da una vita di esperienze, in psicologia clinica, nelle negoziazioni con ostaggi e nelle sale riunioni di tutto il mondo.
Ho potuto osservare degli SCHEMI RICORRENTI.
Che si trattasse di un CEO, di un negoziatore o della vittima di un trauma i principi erano gli stessi: le persone si trasformano quando si sentono protette e ispirate dal profondo a crescere.
Volevo condividere questo modello con chiunque fosse pronto a guidare delle persone con attenzione e con coraggio.
E sì, la risposta al libro mi ha sorpreso, non perché dubitassi dei principi ma perché mi ha confermato quanto profondamente le PERSONE RICERCANO CONNESSIONE, FIDUCIA e SENSO. Questa fame è universale.
Uno dei feedback più toccanti è arrivato da un manager senior che ha affermato “Questo libro mi ha aiutato a sentirmi di nuovo umano”. Un altro lettore mi ha detto che il libro lo ha aiutato a ricostruire il rapporto di fiducia con la figlia da cui era separato.
Ho capito che il messaggio andava oltre la leadership e stava toccando le vite.
Se dovessi riscrivere il libro oggi, probabilmente darei ancora più spazio al ruolo nella leadership della ricerca di ACCETTAZIONE DI SÉ e del RECUPERO DELL’EMOTIVITÀ.
Sono temi che il mondo è pronto ad accogliere con profondità.
Cosa vuol dire essere OSTAGGIO psicologico della propria vita?
Essere ostaggio non è soltanto uno stato fisico, è anche una condizione psicologica. Ho visto persone senza alcun “carceriere” vivere la propria vita nella paura, imprigionate da vecchie ferite, relazioni tossiche o loro narrazioni interiori.
Questo è l’atteggiamento da ostaggio: ti senti impotente, incapace di cambiare la tua situazione, bloccato nella passività o nella paura anche se tecnicamente hai delle scelte.
L’antidoto è liberarci e liberare gli altri dalle dinamiche da ostaggio.
Di qui la mia idea di “Secure Base Leadership”. Perché i leader possono, anche inconsapevolmente, tenere in ostaggio le persone con la PAURA, il CONTROLLO, il RICHIAMO o possono invece possono RENDERLE LIBERE offrendo sicurezza, ispirazione e sfida.
La metafora colpisce perché tutti almeno per una volta ci siamo sentiti bloccati e il mio lavoro consiste nel dare alle persone gli strumenti e il coraggio per liberarsi.
Comprendere questa dinamica permette ai leader di creare CULTURE DI EMPOWERMENT e non di controllo. Non si tratta soltanto di gestire persone ma di renderle libere di diventare CIÒ CHE SONO CAPACI DI ESSERE.
Che cosa si è rivelato maggiormente efficace nella Sua esperienza per realizzare un cambiamento desiderato?
Lo strumento più efficace l’”OCCHIO DELLA MENTE” ovvero la capacità di focalizzare l’attenzione e il suo potere. Ciò su cui ci concentriamo si espande.
Una base sicura aiuta a concentrare l’attenzione sulla crescita, le opportunità, la nostra forza, piuttosto che sulla paura, il fallimento o i nostri limiti.
Il cambiamento avviene quando adottiamo una diversa prospettiva e iniziamo a concentrarci sulle nostre potenzialità invece di guardare ai problemi.
E il cambiamento si favorisce attraverso le relazioni. NESSUNO CAMBIA DA SOLO.
Servono legami, dialogo e conferme positive coerenti
Quando un leader riflette sui tuoi punti di forza, sfida i tuoi limiti e ti resta accanto nelle difficoltà, la tua mentalità cambia.
Non si tratta di magia—ma di neuroscienze, psicologia e amore in azione.
Quindi, se vuoi guidare il cambiamento INIZIA DA COME LE PERSONE VEDONO SÉ STESSE.
Poi, aiutale a guardare oltre.
Ecco qual è il cuore della leadership: accompagnare le persone nel coltivare il coraggio di superare i propri limiti.
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